Gli Omega 3 nei pesci di allevamento
Il pesce di allevamento rappresenta un’ottima fonte di acidi grassi Omega 3, e principalmente di acido eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), veri toccasana per la nostra salute. Le differenti specie ittiche sono molto variabili l’una dall’altra in termini di contenuto di lipidi (che vanno dallo 0.7 al 25% del peso fresco) e, di conseguenza, lo sono anche le concentrazioni di Omega 3.
Le quantità di Omega 3 nei pesci di allevamento, e poi in ciascun tipo di pesce, sono determinate dall’interazione di due fattori: la genetica, che regola le quantità di lipidi accumulati nei tessuti, e l’alimentazione. Le specie ittiche, infatti, non sono in grado di produrre autonomamente questi acidi grassi polinsaturi. Essi devono perciò essere nutriti con alimenti contenenti a loro volta Omega 3 (ad esempio altri pesci, alghe o oli di pesce) affinché le loro carni si arricchiscano di EPA e DHA.
Omega 3 nei pesci di allevamento: il caso del salmone
Il salmone proveniente dall’Atlantico è allevato prevalentemente con una dieta a base di pesci marini e oli di pesce, e le sue carni mediamente contengono tra gli 1.6 e i 2.5 grammi di Omega 3 (tra EPA e DHA) ogni 100 grammi.
Tuttavia, per esigenze di sostenibilità delle popolazioni ittiche selvatiche, la dieta di molti salmoni di allevamento oggi contiene quantità non trascurabili di mangimi e oli derivanti da vegetali. Questo causa generalmente una riduzione degli Omega 3 nei pesci di allevamento e nelle loro carni. Ad esempio, le carni di un salmone alimentato per tutta la vita con una dieta contenente il 75% di oli vegetali saranno caratterizzate da un contenuto di Omega 3 compreso tra 0.8 e 1.0 grammi, ovvero il 50% circa in meno rispetto ad un esemplare allevato con mangimi di origine marina.
Le altre specie ittiche
Ecco i contenuti di Omega 3 (EPA + DHA) delle carni di altre specie molto popolari sulle nostre tavole, alimentate soprattutto con prodotti ittici, riferiti a 100 grammi di pesce fresco:
- Trota iridea: 1.0 grammi
- Spigola: 1.0 grammi
- Orata: 1.2 grammi
- Merluzzo: 0.3 grammi
In queste specie il naturale accumulo di grassi è inferiore rispetto al salmone (si tratta infatti di pesci apprezzati per la loro magrezza), pertanto non c’è da stupirsi che anche il contenuto di Omega 3 sia minore. Se però l’alimentazione di questi pesci viene modificata includendo sempre maggiori quantità di oli vegetali a scapito dei prodotti ittici, la percentuale di Omega 3 si riduce drasticamente del 40-50%.
Coniugare qualità e rispetto dell’ambiente
Spesso, e non solo in riferimento alla quantità di Omega 3 nei pesci di allevamento, essi vengono considerati di qualità inferiore rispetto a quelli pescati. Questo non sempre è vero, soprattutto per quanto riguarda il contenuto appunto di acidi grassi polinsaturi, dal momento che in genere i pesci allevati accumulano più grasso rispetto a quelli che vivono in natura.
Ad esempio, il salmone allevato nel nord Europa è caratterizzato da un contenuto lipidico del 10-20%, mentre in quello selvatico i grassi sono solo il 5-12% sul fresco. I salmoni allevati possono quindi contenere più Omega 3 rispetto a quelli pescati, apportando al consumatore quantità di 1.5 o anche due volte superiori.
Una delle sfide principali che dovrà affrontare l’acquacoltura moderna è quella di riuscire a coniugare i vantaggi di utilizzare meno mangimi di origine marina con la produzione di carni contenenti buone quantità di Omega 3. Per fare questo, è possibile integrare l’alimentazione delle specie ittiche allevate con oli di pesce.